domenica 2 marzo 2014

con quale diritto i Patrioti duosiciliani vengono tenuti ancora prigionieri nel vergognoso museo dell'ebreo "cesare lombroso" di Torino? Fra di essi anche Antonio Gasbarrone...

Con quale diritto?
Il museo di Torino “Cesare Lombroso” è una vera vergogna nazionale. Mille crani di Patrioti duosiciliani, prigionieri in questo vergognoso museo, attendono dopo più di un secolo e mezzo ancora una degna e cristiana sepoltura. Fra di essi anche Antonio Gasbarrone.


Il cranio di  Antonio Gasbarrone, Patriota duosiciliano, fu espiantato su richiesta dell'ebreo Cesare Lombroso, senza permesso alcuno, ed esposto a Torino nel museo a lui intitolato
Nacqui a Sonnino, (adesso in provincia di Latina), il 12 Dicembre del 1793. Fui battezzato. Vissi da bambino la prima invasione francese del 1798 che portò lutti e disperazione nella mia famiglia e nel mio paese. Poco dopo, più giovinetto, giunse la seconda, nel 1806, che portò tragedia epocale. Seguii da orfano, sui monti, i giovani abili alla resistenza armata contro Napoleone e mi chiamarono brigante. Difesi il mio amore con il sangue e me ne pentii per tutta la vita. Fui forte con i forti e debole con i deboli. Aiutai il popolo povero contro le angherie dei ricchi e di me scrissero in Europa ovunque, tranne che in Italia. Morii da uomo libero ormai vecchio a 87 anni. La mia testa fu espiantata su richiesta di Cesare Lombroso, senza permesso alcuno, ed ancora oggi è esposta a Torino nel Museo a lui intitolato. Così mi trovo in un posto sbagliato da oltre un secolo, scrutato da occhi paganti e indiscreti. Perché? Non dovrei forse essere nella mia Sonnino... con la mia gente, con i miei morti? Con quale diritto mi si infligge questa pena?

Antonio Gasbarrone, Patriota duosiciliano.


Nella mole antonelliana di Torino si trova una enorme statua di Moloch, la divinità del male assoluto


da Vikipedia:

Antonio Gasbarrone, Patriota duosiciliano, (Sonnino12 dicembre 1793 – Abbiategrasso1 aprile 1880), viene definito da questo Stato spacciato per italiano, ma in realtà solo massonico rothschildiano, un brigante italiano.
A 10 anni perde il padre, Rocco, a 15 anni la madre, Faustina, rimanendo con il fratello Gennaro e con le sorelle Settimia e Giustina. Passava il tempo con le mandrie al pascolo, vedendo spesso passare le bande dei briganti. Si diede al brigantaggio uccidendo il fratello della donna che aveva chiesto in sposa, ma fu rifiutato dalla famiglia di lei poiché ritenuto fratello di brigante. Inizialmente egli fece parte di una banda calabrese, e successivamente riuscì ad organizzare una banda tutta sua (1814) insieme a Alessandro Massaroni e Bartolomeo Varrone, ambedue di Vallecorsa. Nel1818 fu persuaso da un prelato, il cardinale Ettore Consalvi, a Sezze ad abbandonare il brigantaggio e si consegnò allo Stato Pontificio insieme ad altri 12 compagni. Viene alloggiato a Castel S. Angelo 1818, dove in seguito sposa Demira. Nel 1819 viene spedito a Cento (FE) con la moglie, mentre il cognato viene spedito a Comacchio (FE). Qui nacque il suo primo figlio. Dopo poco tempo i due tentarono la fuga, e, rispettivamente, Gasbarrone arrivò a Sonnino, il cognato invece fu giustiziato a Bologna per omicidio. Nel frattempo Diomira morì di parto del secondo figlio dopo una lunga malattia, e qualche mese dopo la segui anche il figlio. Qui si riunì alla banda di Massaroni. Nel 1820 fu amnistiato suo fratello Gennaro, un anno dopo, nel giugno del 1821 muore Massaroni e Gasbarrone scappa in Abruzzo. Nel 1823 muore Pio VII e diviene Papa Leone XII. In questo periodo, fu di nuovo arrestato il fratello Gennaro e portato a Civitavecchia, insieme agli altri amnistiati. Nel 1825Papa Leone XII, a conoscenza dell'opera di San Gaspare del Bufalo, inviò don Pietro Pellegrini, vicario generale di Sezze, a trattare la resa di Gasbarrone. Il luogo deputato fu la Chiesa della Madonna della Pietà. Dopo nove giorni (19 settembre 1825), Gasbarrone decise di arrendersi, insieme ad altri 8 compagni, tra cui Pietro Masi. Tre giorni dopo rimise piede a Castel S. Angelo. Dopo 8 mesi fu trasferito nel carcere di Civitavecchia, qui per 7 anni rimase isolato dagli altri, in seguito fu trasferito a Spoleto e poi a Civitacastellana. Rimase in carcere fino al 1870 quando fu liberato all'età di 77 anni, in seguito all'Unità d'Italia. Visse un periodo a Trastevere, tentò di ritornare nel proprio paese natale ma non fu accolto molto bene e fu mandato in un ospizio ad Abbiategrasso. Qui morì il 1 aprile del 1882, all'età di 87 anni.
La fama del mitico brigante è nota anche oltralpe; a Parigi viene pubblicata la vita di Antonio Gasperoni di Pietro Masi (1867). Gasbarrone è colui che ha visto prostrati ai suoi piedi principi e signori, ricchi sfondati che sfruttavano i poveri Cristi; è colui che ha realizzato una «rivincita» contro le umiliazioni dei potenti: «Ha umiliato i ricchi - dicono ancora i più anziani- e ha difeso i poveri. Se ha ucciso qualche poveraccio, questi era reo di delazione, colpa che non era ammissibile agli occhi del brigante sonninese. Chi fa la spia campa poco. Ha tolto poi ai ricchi e ha dato ai poveri».
Il suo teschio, il suo fucile e i suoi abiti sono conservati nel Museo di antropologia criminale "Cesare Lombroso" di Torino.
Tutti ormai sanno che Torino è la capitale del male assoluto.



1 commento:

  1. i neoborbonici duosiciliani sono così ignoranti da dedicare un articolo ad un famoso brigante duosiciliano... che però duosiciliano non era!

    Antonio Gasbarrone infatti era un brigante dello stato pontificio.

    CAPRE, andate a studiare.

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