Con
quale diritto?
Il
museo di Torino “Cesare Lombroso” è una vera vergogna nazionale.
Mille crani di Patrioti duosiciliani, prigionieri in questo
vergognoso museo, attendono dopo più di un secolo e mezzo ancora una
degna e cristiana sepoltura. Fra di essi anche Antonio Gasbarrone.
Il cranio di Antonio Gasbarrone, Patriota duosiciliano, fu espiantato su richiesta dell'ebreo Cesare Lombroso, senza permesso alcuno, ed esposto a Torino nel museo a lui intitolato |
Nacqui
a Sonnino, (adesso in provincia di Latina), il 12 Dicembre del 1793.
Fui battezzato. Vissi da bambino la prima invasione francese del 1798
che portò lutti e disperazione nella mia famiglia e nel mio paese.
Poco dopo, più giovinetto, giunse la seconda, nel 1806, che portò
tragedia epocale. Seguii da orfano, sui monti, i giovani abili alla
resistenza armata contro Napoleone e mi chiamarono brigante. Difesi
il mio amore con il sangue e me ne pentii per tutta la vita. Fui
forte con i forti e debole con i deboli. Aiutai il popolo povero
contro le angherie dei ricchi e di me scrissero in Europa ovunque,
tranne che in Italia. Morii da uomo libero ormai vecchio a 87 anni.
La mia testa fu espiantata su richiesta di Cesare Lombroso, senza
permesso alcuno, ed ancora oggi è esposta a Torino nel Museo a lui
intitolato. Così mi trovo in un posto sbagliato da oltre un secolo,
scrutato da occhi paganti e indiscreti. Perché? Non dovrei forse
essere nella mia Sonnino... con la mia gente, con i miei morti? Con
quale diritto mi si infligge questa pena?
Antonio Gasbarrone,
Patriota duosiciliano.
Nella mole antonelliana di Torino si trova una enorme statua di Moloch, la divinità del male assoluto |
da
Vikipedia:
Antonio
Gasbarrone, Patriota duosiciliano, (Sonnino, 12
dicembre 1793 – Abbiategrasso, 1
aprile 1880), viene definito da questo Stato spacciato per italiano, ma in realtà solo
massonico rothschildiano, un brigante italiano.
A
10 anni perde il padre, Rocco, a 15 anni la madre, Faustina,
rimanendo con il fratello Gennaro e con le sorelle Settimia e
Giustina. Passava il tempo con le mandrie al pascolo, vedendo spesso
passare le bande dei briganti. Si diede al brigantaggio uccidendo
il fratello della donna che aveva chiesto in sposa, ma fu rifiutato
dalla famiglia di lei poiché ritenuto fratello di brigante.
Inizialmente egli fece parte di una banda calabrese, e
successivamente riuscì ad organizzare una banda tutta sua (1814)
insieme a Alessandro
Massaroni e Bartolomeo
Varrone,
ambedue di Vallecorsa.
Nel1818 fu
persuaso da un prelato, il cardinale Ettore Consalvi, a Sezze ad
abbandonare il brigantaggio e
si consegnò allo Stato Pontificio insieme ad altri 12 compagni.
Viene alloggiato a Castel S. Angelo 1818,
dove in seguito sposa Demira. Nel 1819 viene
spedito a Cento (FE) con la moglie, mentre il cognato viene spedito a
Comacchio (FE). Qui nacque il suo primo figlio. Dopo poco tempo i due
tentarono la fuga, e, rispettivamente, Gasbarrone arrivò a Sonnino,
il cognato invece fu giustiziato a Bologna per
omicidio. Nel frattempo Diomira morì di parto del secondo figlio
dopo una lunga malattia, e qualche mese dopo la segui anche il
figlio. Qui si riunì alla banda di Massaroni.
Nel 1820 fu
amnistiato suo fratello Gennaro, un anno dopo, nel giugno
del 1821 muore Massaroni e
Gasbarrone scappa in Abruzzo.
Nel 1823 muore Pio
VII e
diviene Papa
Leone XII.
In questo periodo, fu di nuovo arrestato il fratello Gennaro e
portato a Civitavecchia,
insieme agli altri amnistiati. Nel 1825, Papa
Leone XII,
a conoscenza dell'opera di San
Gaspare del Bufalo,
inviò don Pietro Pellegrini, vicario generale di Sezze,
a trattare la resa di Gasbarrone. Il luogo deputato fu la Chiesa
della Madonna della Pietà. Dopo nove giorni (19 settembre 1825),
Gasbarrone decise di arrendersi, insieme ad altri 8 compagni, tra
cui Pietro
Masi.
Tre giorni dopo rimise piede a Castel S. Angelo. Dopo 8 mesi fu
trasferito nel carcere di Civitavecchia,
qui per 7 anni rimase isolato dagli altri, in seguito fu trasferito a
Spoleto e poi a Civitacastellana. Rimase in carcere fino
al 1870 quando
fu liberato all'età di 77 anni, in seguito all'Unità
d'Italia.
Visse un periodo a Trastevere, tentò di ritornare nel proprio paese
natale ma non fu accolto molto bene e fu mandato in un ospizio
ad Abbiategrasso.
Qui morì il 1 aprile del 1882, all'età di 87 anni.
La
fama del mitico brigante è nota anche oltralpe;
a Parigi viene pubblicata la vita di Antonio Gasperoni di Pietro Masi
(1867).
Gasbarrone è colui che ha visto prostrati ai suoi piedi principi e
signori, ricchi sfondati che sfruttavano i poveri Cristi; è colui
che ha realizzato una «rivincita» contro le umiliazioni dei
potenti: «Ha umiliato i ricchi - dicono ancora i più anziani- e ha
difeso i poveri. Se ha ucciso qualche poveraccio, questi era reo di
delazione, colpa che non era ammissibile agli occhi del brigante
sonninese. Chi fa la spia campa poco. Ha tolto poi ai ricchi e ha
dato ai poveri».
Il
suo teschio, il suo fucile e i suoi abiti sono conservati nel Museo
di antropologia criminale "Cesare
Lombroso"
di Torino.
Tutti ormai sanno che Torino è la capitale del male
assoluto.
i neoborbonici duosiciliani sono così ignoranti da dedicare un articolo ad un famoso brigante duosiciliano... che però duosiciliano non era!
RispondiEliminaAntonio Gasbarrone infatti era un brigante dello stato pontificio.
CAPRE, andate a studiare.